Ogni passo verso la civiltà sembrava portarci più lontani da quella pace, ma sapevo che una parte di quel silenzio sarebbe rimasta con noi.
La tenda di Claudio e Federico di notte
Campeggiare non è solo una passione: per me e Federico, è quasi un rituale. Mi chiamo Claudio, e da anni io e il mio migliore amico condividiamo la stessa voglia di scoprire luoghi dove la natura regna indisturbata. Non ci interessano campeggi attrezzati o aree troppo frequentate; quello che cerchiamo sono luoghi sperduti, posti dove il silenzio è totale e il tempo sembra fermarsi.
Abbiamo sviluppato una sorta di filosofia del campeggio: non è solo un’attività fisica, ma un modo per ritrovarci, per spegnere il rumore della vita quotidiana e ascoltare qualcosa di più profondo. È per questo che preferiamo la steppa, o in inverno, paesaggi innevati che sembrano usciti da un sogno.
Claudio e Federico alle prese con il montaggio della tenda
La prima regola del nostro campeggio è semplice: il posto giusto deve trovarci. Non seguiamo mai un piano preciso. Camminiamo, lasciandoci guidare dal paesaggio, e quando vediamo un luogo che ci colpisce, ci fermiamo. Quel giorno, la steppa innevata si estendeva a perdita d’occhio sotto un cielo bianco lattiginoso. La neve copriva tutto come una coperta uniforme, spezzata solo da piccoli arbusti che spuntavano qua e là. Il silenzio era assoluto, rotto solo dal suono ovattato dei nostri passi.
Federico, sempre più rapido di me nell’individuare dettagli, indicò un lieve avvallamento vicino a un gruppo di alberi spogli. “Ecco il posto,” disse con sicurezza. Mi fermai a osservarlo: il terreno era abbastanza piatto, gli alberi avrebbero offerto un po’ di riparo dal vento, e la vista era spettacolare. Dall’altra parte, si apriva una vallata che sembrava un dipinto, con le colline coperte di neve che si fondevano con l’orizzonte. “Perfetto,” risposi. In quel momento, sapevo che avevamo trovato casa per la notte.
C’è sempre un’emozione particolare quando ci fermiamo nel luogo scelto. Guardarsi intorno, posare gli zaini e prendersi un attimo per respirare: è come stabilire un primo contatto con il posto. L’aria era fredda ma incredibilmente pulita. Ogni respiro sembrava riempirmi di energia. Mi accorsi di quanto fosse diversa la luce in quel momento: morbida, quasi diffusa, come se il cielo e la neve lavorassero insieme per creare un’atmosfera intima e ovattata. Gli alberi intorno a noi erano immobili, coperti da una sottile patina di ghiaccio che brillava debolmente quando i raggi del sole li colpivano. Federico si girò verso di me con un sorriso. “Non c’è nessuno nel raggio di chilometri,” disse. Era un pensiero rassicurante: eravamo soli, ma non isolati. Lontano dal mondo, ma perfettamente connessi con l’ambiente intorno a noi.
Montare il campo è sempre un momento che richiede concentrazione, ma anche una certa dose di entusiasmo. Federico si mise subito al lavoro per livellare il terreno innevato dove avremmo montato la tenda. Usava la piccola pala pieghevole con movimenti rapidi e decisi, creando una superficie stabile su cui sistemarci. Io, nel frattempo, cercavo rami secchi e qualche pietra piatta per costruire un perimetro attorno al fuoco.
La tenda, verde scuro, era una vecchia compagna di viaggio, robusta e affidabile. Piantammo i picchetti con attenzione, fissandola saldamente per resistere al vento che poteva intensificarsi durante la notte. Ogni gesto era ormai familiare, quasi automatico, ma non per questo meno appagante. Vedere il campo prendere forma, poco a poco, ci dava una strana sensazione di sicurezza, come se stessimo creando un piccolo rifugio personale in mezzo all’immensità della natura. Una volta montata la tenda, sistemammo gli zaini all’interno, stendendo i sacchi a pelo per prepararci alla notte. Fuori, il freddo cominciava a farsi più intenso, e il bisogno di calore divenne la priorità. “È il momento del fuoco,” disse Federico, con un sorriso che rifletteva l’aspettativa di quel momento sempre speciale.
Claudio e Federico alla ricerca della zona giusta per la tenda
Accendere un fuoco in mezzo alla neve non è mai semplice, ma è una sfida che amiamo affrontare. Raccolsi una manciata di rametti secchi che avevo trovato vicino agli alberi e li sistemai con cura in una piccola piramide sopra il letto di pietre. Federico tirò fuori il kit d’accensione, e con pochi tentativi riuscimmo a creare una scintilla che, lentamente, si trasformò in una fiamma. C’è qualcosa di primordiale nel vedere un fuoco nascere. È come se in quel momento stabilissi una connessione profonda con la natura, una forma di comunicazione silenziosa che ti ricorda quanto siamo piccoli, ma anche quanto possiamo adattarci.
Le fiamme cominciarono a crescere, emanando un calore che si espandeva intorno a noi. Il crepitio del legno, il bagliore che illuminava la neve e l’odore leggero di resina bruciata creavano un’atmosfera unica. Ci sedemmo vicino al fuoco, stendendo le mani per assorbire il calore. “Non importa quante volte lo facciamo,” dissi, “accendere un fuoco è sempre magico.” Federico annuì, con lo sguardo fisso sulle fiamme. Mentre il sole iniziava a calare, il cielo si riempì di sfumature arancioni e viola, e il paesaggio intorno a noi sembrava trasformarsi in un mondo incantato. Le ombre degli alberi si allungavano sulla neve, e il silenzio diventava quasi tangibile, rotto solo dal suono delle fiamme e dal leggero soffio del vento.
Il montaggio della tenda
Con l’arrivo della notte, il mondo intorno a noi sembrava cambiare. La temperatura scese rapidamente, e l’aria divenne ancora più pungente. Il cielo sopra di noi si era trasformato in una distesa nera, punteggiata da migliaia di stelle che brillavano con una chiarezza impossibile da trovare altrove. La Via Lattea si stagliava sopra le nostre teste come un sentiero luminoso, un promemoria silenzioso dell’infinità dell’universo. Il fuoco, ormai ridotto a braci, continuava a emanare un lieve calore e un bagliore arancione che si rifletteva sulla neve intorno. Ci sedemmo vicini, avvolti nei nostri sacchi a pelo, ascoltando il silenzio. Ma non era un silenzio vuoto: c’erano i suoni della natura, quasi impercettibili, come il fruscio del vento tra gli alberi o lo scricchiolio della neve sotto il peso di un ramo che si piegava.
“Pensi mai a quanto è strano tutto questo?” chiese Federico, rompendo il silenzio con un tono riflessivo. “Il fatto che qui, in questo momento, sembri tutto perfetto, mentre da qualche altra parte il mondo va avanti come sempre, caotico e rumoroso.” “Sì,” risposi. “È come essere in una bolla, un luogo che esiste fuori dal tempo.” Era una sensazione difficile da spiegare, ma che provavo ogni volta che campeggiavamo in posti così remoti. Essere lì, circondati solo dalla natura, ti faceva sentire parte di qualcosa di molto più grande, ma senza mai farti sentire piccolo o insignificante.
Quando aprii gli occhi al mattino, il primo pensiero fu per il freddo, che sembrava essersi infiltrato ovunque nonostante il sacco a pelo. Ma appena scostai la cerniera della tenda, tutto il disagio svanì. La scena che avevo davanti era di una bellezza quasi irreale.
La steppa era ricoperta da uno strato di brina scintillante, che rifletteva la luce morbida dell’alba. Il cielo, ancora in transizione tra il blu della notte e l’oro del giorno, dava al paesaggio un’atmosfera sospesa. Federico era già fuori, intento a ravvivare le ultime braci del fuoco. “Buongiorno,” disse con un sorriso, porgendomi una tazza di caffè fumante. Il mattino era silenzioso, ma non vuoto. Il canto lontano di qualche uccello e il fruscio leggero del vento aggiungevano una colonna sonora perfetta alla scena. Ci sedemmo in silenzio, sorseggiando il caffè e guardando il sole che si alzava lentamente sopra le colline. Era un momento di pace totale, un modo perfetto per iniziare la giornata.
Mentre smontavamo il campo, cercammo di lasciare ogni cosa esattamente com’era quando eravamo arrivati. La neve, ormai leggermente indurita dal gelo della notte, conservava ancora le tracce dei nostri passi, ma il fuoco era stato spento con cura, e non c’era nulla che potesse indicare il nostro passaggio. Per noi, questo era un atto di rispetto: la natura ci aveva ospitato, e il minimo che potessimo fare era onorarla lasciandola intatta.
Federico, piegando il telo della tenda, si fermò un attimo e disse: “Sai, mi chiedo sempre perché non riusciamo a portare un po’ di questa pace nella vita di tutti i giorni.” Aveva ragione. Ogni volta che tornavamo da una di queste esperienze, ci sentivamo ricaricati, più leggeri, ma anche un po’ malinconici. Era come se la frenesia della quotidianità avesse il potere di cancellare, piano piano, quel senso di equilibrio che trovavamo solo qui. “Credo che parte della bellezza stia proprio nel fatto che non lo possiamo portare a casa,” risposi. “È qualcosa che appartiene a questi luoghi, e dobbiamo venirci per trovarlo.” Federico annuì, e sapevo che anche lui sentiva lo stesso.
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