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Il Monte Kaçkar Dağı

Non si tratta solo di superare i propri limiti fisici, ma di scoprire quanto la forza dell’amicizia e il rispetto per la natura possano renderti più forte.

L'inizio dell'escursione sul Monte Kackar

L'inizio dell'escursione sul Monte Kackar

Non tutti amano la fatica, ma per me è parte della vita. Mi chiamo Hasan, e da anni dedico il mio tempo libero all’escursionismo, una passione che condivido con i miei due più grandi amici, Ahmet e Selim. Insieme abbiamo scalato montagne e attraversato valli, affrontando condizioni difficili e condividendo momenti indimenticabili. Ma c’è un luogo che per noi ha un significato speciale: il Monte Kaçkar, una vetta che si erge maestosa nel cuore della Turchia nord-orientale. Il Kaçkar non è una montagna facile. È una sfida fisica e mentale, un percorso che mette alla prova i tuoi limiti, ma che ti regala una ricompensa inestimabile: il senso di libertà e di conquista che puoi trovare solo tra le cime. Ogni volta che decidiamo di affrontarlo, sappiamo che non sarà semplice. Ma è proprio questo che ci attrae.

Il Kaçkar fa parte della catena montuosa del Caucaso Minore, un angolo di Turchia che sembra uscito da un dipinto. Le sue cime, spesso innevate, si stagliano contro un cielo limpido, mentre i pendii sono coperti di prati verdi in estate e di un manto bianco immacolato in inverno. Per me, il richiamo di questa montagna è irresistibile. C’è qualcosa di unico nel paesaggio del Kaçkar. Il terreno varia continuamente: passi innevati, rocce scoscese, ruscelli che si fanno strada tra le valli. E poi c’è l’aria, fredda e sottile, che ti costringe a respirare più a fondo, ricordandoti che sei lontano dalla frenesia del mondo moderno.

Io, Ahmet e Selim conosciamo bene queste montagne, ma ogni volta che ci torniamo ci sembra di scoprirle da capo. “Guarda quella cima,” dice spesso Ahmet, indicando un picco all’orizzonte. “Sembra vicina, ma ti sfida a ogni passo.” Ed è vero: il Kaçkar è un maestro di umiltà, una montagna che non perdona distrazioni e ti obbliga a rispettarla. Ma oltre alla fatica, c’è la bellezza. Al tramonto, le rocce si tingono di arancione e rosa, creando uno spettacolo che ti fa dimenticare ogni difficoltà. È in quei momenti che capisco perché torno sempre qui: non solo per la sfida, ma per la bellezza che ti sorprende e ti ricorda quanto il mondo sia più grande di noi.

Hasan mentre scatta una foto

Hasan mentre scatta una foto

Affrontare il Monte Kaçkar non è qualcosa che si fa senza preparazione. Io, Ahmet e Selim abbiamo imparato nel tempo che la pianificazione è fondamentale. La sera prima della partenza ci siamo riuniti a casa mia, trasformando il tavolo della cucina in un campo base improvvisato. Mappe, attrezzature e liste riempivano ogni centimetro di spazio. “Il meteo sembra stabile, ma dobbiamo considerare il vento in cima,” disse Selim, studiando il rapporto aggiornato. Nonostante la nostra esperienza, il Kaçkar può sorprendere: il tempo cambia in un attimo, e la neve che lo copre anche in primavera può trasformarsi in una trappola per chi è impreparato.

Dividemmo i carichi con attenzione. Ahmet, il più robusto, avrebbe portato la tenda; Selim si occupava del fornello e del cibo; io avevo il compito di trasportare la corda e il kit di pronto soccorso. Ogni dettaglio veniva discusso, ogni scenario considerato. Non era solo prudenza, ma una parte del nostro rito: la preparazione stessa era una forma di connessione con la montagna che stavamo per affrontare.

Hasan, Ahmet e Selim mentre avanzano sul monte
Hasan, Ahmet e Selim mentre avanzano sul monte

Il primo giorno di cammino è sempre il più impegnativo. Partimmo al mattino presto, con l’aria gelida che pungeva la pelle e le cime del Kaçkar che ci osservavano silenziose all’orizzonte. Ogni passo affondava nella neve morbida, e il suono dei nostri scarponi era l’unico rumore nel vasto silenzio della montagna. Il sentiero iniziava dolcemente, con un pendio che attraversava un prato coperto di neve. Ma presto la pendenza aumentò, e il terreno divenne più scivoloso. Mi accorsi che il mio respiro si faceva più corto, non solo per lo sforzo, ma anche per l’altitudine. “Tieni il ritmo,” disse Ahmet, girandosi verso di me. Era un consiglio semplice, ma prezioso: in montagna, la costanza è tutto.

La squadra cominciò a sincronizzarsi, come sempre. Selim, con il suo passo regolare, guidava il gruppo, mentre Ahmet chiudeva la fila, pronto a intervenire se qualcuno rallentava. Io mi trovavo nel mezzo, cercando di mantenere il passo e di adattarmi al terreno che diventava sempre più irregolare. Dopo alcune ore di salita, il vento iniziò a intensificarsi, tagliandoci il viso come una lama sottile. Ci fermammo dietro una roccia per una breve pausa, tirando fuori termos di tè caldo. Ogni sorso era una piccola vittoria contro il freddo. “Guarda,” disse Selim, indicando la vallata sotto di noi. La vista era mozzafiato: un mare di neve punteggiato da rocce scure, con il sole che cominciava a filtrare attraverso le nuvole. Era un promemoria del perché stavamo affrontando quella fatica.

Hasan mentre cammina nella neve

Hasan mentre cammina nella neve

Superata la prima fase, il percorso divenne più impegnativo. Le tracce del sentiero si fecero meno evidenti, nascoste sotto la neve che il vento continuava a spostare in piccole tempeste bianche. Ogni passo richiedeva attenzione: un movimento sbagliato poteva farci perdere l’equilibrio, e la possibilità di scivolare su un tratto ghiacciato era sempre dietro l’angolo. Raggiungemmo una cresta esposta, dove il vento sembrava deciso a metterci alla prova. La temperatura percepita si abbassò rapidamente, e ogni respiro usciva come una nuvola bianca che si disperdeva nell’aria. “Fate attenzione,” avvertì Ahmet, girandosi verso di noi con la voce appena udibile sopra il sibilo del vento. Con movimenti lenti e controllati, ci assicurammo di trovare punti di appoggio sicuri tra le rocce e la neve.

Selim ebbe un momento di difficoltà: il suo piede scivolò su un tratto ghiacciato, facendolo vacillare. Io e Ahmet ci avvicinammo rapidamente, assicurandoci che si riprendesse. “Va tutto bene,” disse, respirando profondamente. Non era solo la stanchezza fisica a pesare, ma anche la tensione mentale di sapere che un errore poteva avere conseguenze serie. Il tratto più difficile fu una salita ripida coperta da neve fresca. Ogni passo richiedeva uno sforzo immenso, e la pendenza sembrava non finire mai. Io sentivo le gambe bruciare, e per un momento mi chiesi se avessi la forza di continuare. Ma guardando Ahmet e Selim, che avanzavano con la stessa determinazione, trovai la motivazione per andare avanti.

La salita verso la vetta del Kackan

La salita verso la vetta del Kackan

Se c’è una cosa che rende possibile affrontare una sfida come questa, è il lavoro di squadra. Tra di noi c’è sempre stata una comprensione silenziosa, un legame che va oltre le parole. Durante la salita, ognuno di noi aveva un ruolo, e sapevamo che il successo dipendeva dal sostenerci a vicenda. Quando Selim ebbe bisogno di fermarsi per riprendere fiato, ci fermammo tutti. “Non siamo in gara,” disse Ahmet, poggiandogli una mano sulla spalla. “L’importante è arrivare insieme.” Era una frase semplice, ma rappresentava perfettamente il nostro approccio.

Ci incoraggiavamo continuamente. Un gesto, uno sguardo, o anche una battuta per sdrammatizzare la fatica: ogni cosa aiutava a mantenere alto il morale. “Guarda il lato positivo,” scherzò Selim a un certo punto, “più saliamo, meno aria dobbiamo condividere.” Ridere, anche in mezzo alla fatica, era uno dei nostri modi per ricordarci che eravamo lì per una passione condivisa. Ogni volta che uno di noi sembrava vacillare, gli altri due erano pronti a dargli forza. Questo non era solo un percorso sulla montagna: era un percorso dentro di noi, e lo stavamo affrontando insieme.

L'arrivo e il piccolo lago nascosto

L'arrivo e il piccolo lago nascosto

Dopo ore di cammino faticoso, con i muscoli tesi e i polmoni che sembravano chiedere tregua, la vetta del Monte Kaçkar si rivelò davanti a noi. Era lì, a pochi passi, avvolta da una luce brillante che filtrava attraverso le nuvole. Non era solo una cima: era la meta dei nostri sforzi, il punto dove la fatica incontrava il trionfo. Gli ultimi metri sembravano i più lunghi. Il vento continuava a soffiare forte, e ogni passo era lento, calcolato. Ma quando finalmente raggiungemmo la cima, ogni grammo di stanchezza si dissolse. Ci trovammo su un piccolo spiazzo innevato, con il mondo intero disteso sotto di noi. La vista era mozzafiato: montagne a perdita d’occhio, vallate profonde coperte di neve, e un orizzonte che sembrava infinito.

Selim si lasciò cadere sulla neve, ridendo tra i respiri affannosi. “Non ci posso credere,” disse, con un sorriso che esprimeva tutta la soddisfazione del momento. Ahmet alzò lo sguardo verso il cielo, inspirando profondamente, come per assorbire tutta la grandezza intorno a noi. Io rimasi in piedi, fissando il paesaggio, lasciandomi avvolgere dal silenzio assoluto della montagna. Eravamo solo noi, il vento e il cielo. Nessuna parola poteva catturare completamente quel momento. Era una sensazione di realizzazione personale e collettiva, una prova che avevamo superato insieme. Dopo qualche minuto, ci stringemmo in un abbraccio spontaneo, un gesto che diceva più di quanto avremmo potuto esprimere.

Hasan, Ahmet e Selim sul monte Kackan

Hasan, Ahmet e Selim sul monte Kackan

Scendere dalla montagna è sempre diverso dal salirla. Il corpo è stanco, ma la mente è più leggera. Mentre affrontavamo il cammino di ritorno, le conversazioni si fecero più rilassate, interrotte da lunghe pause in cui ognuno di noi sembrava perso nei propri pensieri. Ripensai a tutto il percorso: le difficoltà, i momenti di esitazione, e il modo in cui ci eravamo sostenuti a vicenda. Non era solo una scalata: era una lezione. Avevamo imparato che la forza non è solo fisica, ma anche mentale, e che il vero successo non è raggiungere una cima, ma farlo insieme.

“Ogni volta penso che questa sarà l’ultima,” disse Ahmet, rompendo il silenzio. “E poi mi trovo già a pianificare la prossima.” Tutti scoppiammo a ridere. Sapevamo che, nonostante la fatica, quella sensazione di libertà e di realizzazione era qualcosa che non avremmo mai smesso di cercare. Quando arrivammo al punto di partenza, il sole stava tramontando, tingendo le montagne di sfumature dorate. Guardammo indietro verso il Kaçkar, ormai avvolto dall’ombra, con un misto di stanchezza e gratitudine. La montagna ci aveva messo alla prova, ma ci aveva anche dato qualcosa di prezioso: una nuova consapevolezza di noi stessi e del legame che ci univa.

Hasan Kaya

Hasan Kaya

Per me, Ahmet e Selim, il Kaçkar non è solo una montagna: è un maestro. Ogni volta che lo affrontiamo, impariamo qualcosa di nuovo su noi stessi, sul mondo, e su cosa significhi veramente andare avanti, un passo alla volta.

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