Nia Bekele cammina veloce tra i corridoi polverosi della clinica in cui lavora, nella periferia di Addis Abeba. Ogni mattina, prima che il sole si alzi del tutto, arriva con il suo camice pulito, un sorriso pronto e le mani che conoscono il dolore e la guarigione. Ma dietro quel sorriso c’è una storia di battaglie silenziose, di cicatrici invisibili e di una forza nata proprio dalle ferite del passato. Lei non è solo un’infermiera: è il volto di chi ha imparato a vivere con i propri segni, trasformando la sofferenza in un dono per gli altri.
Nia è cresciuta in un piccolo villaggio dell’Etiopia centrale. Era una bambina vivace, con gli occhi curiosi e una voce che non smetteva mai di fare domande. Ma la sua infanzia è stata segnata dalla malattia. Una febbre improvvisa, un’infezione mal curata, una lunga degenza in ospedale. E poi, il momento che avrebbe cambiato per sempre il modo in cui vedeva il mondo: la perdita di sua madre, portata via da una complicazione che nessuno aveva potuto fermare. Crescendo, Nia ha imparato a convivere con il dolore, con l’assenza. Ma non ha mai smesso di chiedersi: e se ci fosse stato qualcuno in grado di salvarla? Quel pensiero è diventato la spinta che l’ha portata a studiare, a lottare per un’istruzione, a sfidare ogni ostacolo per diventare infermiera.
La clinica in cui lavora oggi è un piccolo avamposto di speranza in mezzo a una realtà difficile. L’accesso alle cure mediche in Etiopia è ancora limitato, soprattutto nelle aree rurali, e molte persone arrivano troppo tardi, quando la malattia ha già fatto il suo corso. Nia vede ogni giorno bambini denutriti, madri che percorrono chilometri a piedi per un vaccino, giovani che combattono infezioni che altrove sarebbero facilmente curabili. La malaria, la polmonite, le complicazioni del parto: nemici invisibili che strappano vite senza fare rumore. Ma il problema non è solo la mancanza di medicine o di attrezzature. È la povertà, la disinformazione, la difficoltà di far capire che la prevenzione è una battaglia che inizia molto prima della malattia.
Per Nia, prendersi cura delle persone non significa solo somministrare farmaci o bendare ferite. Significa ascoltare, offrire conforto, dare speranza a chi arriva con gli occhi pieni di paura. Ci sono giorni in cui il suo lavoro è una corsa contro il tempo. Giorni in cui un bambino arriva in condizioni disperate, tra le braccia di una madre che ha già visto troppa sofferenza. Giorni in cui deve trattenere le lacrime quando la vita si spegne nonostante tutti gli sforzi. Ma ci sono anche giorni in cui un bambino che sembrava senza speranza sorride di nuovo. Giorni in cui una madre torna a casa con il suo neonato tra le braccia, sana e salva. Giorni in cui Nia si ricorda perché ha scelto questa strada, perché nonostante tutto, non smetterà mai di lottare.
I bambini sono i più fragili, i primi a pagare il prezzo delle difficoltà di un Paese. La malnutrizione è una piaga diffusa, che rende il loro corpo più vulnerabile a qualsiasi infezione. Le cure spesso arrivano tardi, perché molte famiglie non hanno accesso a un medico o semplicemente non sanno riconoscere i sintomi delle malattie più pericolose. Ciò che colpisce Nia ogni giorno è la resistenza di questi bambini. Anche i più piccoli, quelli che lottano con la febbre alta o con il respiro affannoso, trovano la forza per stringere un dito, per cercare uno sguardo rassicurante. Ma non dovrebbero essere loro a dover combattere così presto. Aiutare i bambini non significa solo curarli quando stanno male, ma fare in modo che non si ammalino. Significa educare le famiglie, costruire un sistema sanitario più accessibile, creare un futuro in cui ogni bambino abbia diritto alla salute.
Nia Bekele continua il suo lavoro ogni giorno, con mani esperte e un cuore pieno di storie. Le sue cicatrici non sono solo quelle del passato, ma anche quelle che il presente continua a lasciare su di lei. Ma non le teme. Ha imparato a viverci, a trasformarle in forza, a fare di ogni segno una promessa di aiuto per chi ha bisogno. Perché ci sono battaglie che si vincono con i farmaci, ma altre che si vincono con la dedizione, la speranza e la convinzione che ogni vita salvata valga ogni sforzo fatto. E mentre si sistema il camice e si prepara ad accogliere il prossimo paziente, sa che il suo viaggio è ancora lungo. Ma è un viaggio che vale ogni passo.
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